mercoledì 5 gennaio 2011

Crispelle di Riso... "I Crespelli Melati"

"I monaci facevano l’arte di Michelasso: mangiare, bere e andare a spasso. Levatasi la mattina, scendevano a dire ciascuno la sua messa, giù nelle chiese, spesso a porte chiuse, per non essere disturbati dai fedeli; poi se ne andavano in camera a prendere qualcosa, in attesa del pranzo a cui lavoravano nelle cucine spaziose come una caverna, non meno di otto cuochi, oltre agli sguatteri. Ogni giorno i cuochi ricevevano da Nicolosi quattro carichi di carbone di quercia per tenere i fornelli sempre accessi, e solo per la frittura il cellario di cucina consegnava loro, ogni giorno, quattro vesciche di strutto, di due rotoli ciascuna, e due cafissi d’olio: roba che in casa del principe bastava per sei mesi.I calderoni e le graticole erano tanto grandi che ci si poteva bollire tutta una coscia di vitella e arrostire un pesce spada sano sano; sulla grattugia due sguatteri, agguantata circa mezza ruota di formaggio, stavano un’ora a spiallarvela; il ceppo era un tronco di quercia che due uomini non arrivavano ad abbracciare, ed ogni settimana un falegname, che riceveva quattro tari e mezzo barile di vino per questo servizio, doveva segarne due dita, perché si riduceva inservibile dal tanto triturare. In città, la cucina dei Benedettini era passata in proverbio; il timballo di maccheroni con la crosta di pasta frolla, le arancine di riso grosse come un melone, le olive imbottite, i crespelli melati, erano piatti che nessun altro cuoco sapeva lavorare; e poi gelati, per lo spumone, per la cassata gelata…"
("I Viceré" F. De Roberto)

La dettagliata descrizione di una giornata tipo dei monaci benedettini catanesi, al capitolo 6 del romanzo storico di De Roberto, non solo ci rivela le abitudini e le pratiche conventuali della più grande abbazia europea, dopo quella portoghese di Cisneros, ma è anche specchio della cucina Ottocentesca Siciliana. Diverse sono le motivazioni per cui fu così forte la rilevanza del monastero benedettino San Nicolò l'Arena in città; i monaci infatti si distinsero non solo perchè detenevano il potere spirituale e temporale ma anche per la loro: "interpretazione della vita", basata sul benessere e l'opulenza soprattutto a tavola. Il perchè delle molte attenzioni nella preparazione delle pietanze, malgrado il luogo "non lo permetesse", lo si può rintracciare nel "Diritto di Maggiorasco"; nell'antico sistema successorio,
applicato in Sicilia prima dell'Unità d'Italia, si prevedeva l'indivisibilità del patrimonio e il diritto del primogenito di ereditare tutto. I figli minori delle ricche famiglie aristocratiche siciliane avevano, dunque, il futuro segnato dall'ombra della povertà, nel tentativo di sfuggire alla sorte e, certi di non voler per alcuna ragione dedicarsi al lavoro, intraprendevano la carriera ecclesiastica come unica via di salvezza. Ma se è vero che il duro destino segnava la vita di giovani donne e uomini di origini nobili, confinandoli in labirintici monasteri, è pur vero che questi ultimi non intendevano rinunciare a una vita adeguata al loro stile di vita precedente...
Dal 1977 il complesso monumentale è sede dell'Università di Catania, ed esattamente della Facoltà di Lettere, da qualche anno, prima dei disastrosi tagli a carico dei beni culturali italiani, gran parte della struttura è stata restaurata e sono stati resi fruibili luoghi e stanze restate chiuse per decenni. Degna di nota è la cucina: a forma di edicola poligonale vantava una distribuzione degli spazi e relativa funzionalità decisamente all'avanguardia. Il punto cottura era posto in posizione centrale dunque accessibile da ogni lato della sala, inoltre la particolare forma della stanza permetteva di avere la fuga degli odori dalla parte centrale del tetto fungendo da cappa, e il vano "passa-vivande" era direttamente collegato al refettorio. Suggestive anche le cantine, dove veniva custodito dell'ottimo vino degno compagno delle succulenti pietanze, poste proprio sotto le cucine e caratterizzate dalla colata lavica che attraversò lo spazio nel 1669.
Naturalmente se andrete a visitare il complesso potrete vedere molte altre meraviglie come il colorato chiostro o la stupenda biblioteca, insomma potremmo ancora raccontarvi molto di questo luogo che per noi è magico, ma preferiamo lasciarvi un pò di curiosità che magari un giorno vi permetterà di fare un viaggio...

Ingredienti
250 gr di riso "Arborio"
1 lt di latte intero
200 gr di farina di grano tenero tipo "0"
100g di farina di riso
scorzetta di limone
scorzetta di arancia
cannella in polvere
150 gr di acqua
100 gr di lievito madre (o una bustina di lievito per dolci)
50g di zucchero
200 gr di miele di castagno (in genere si usa il millefiori)
2 arance spremute
zucchero a velo
Per friggere
olio di arachidi (o olio di oliva extra vergine)

Mettete sul fuoco un pentola con il latte e il riso, portate ad ebollizione e mescolate saltuariamente. Quando il riso si sarà cotto dovrete mescolare il composto continuamente con un cucchiaio di legno. Spegnete la fiamma quando il riso si sarà scotto e il latte sarà evaporato trasformandosi in una crema morbida. Trasferite il composto in una ciotola di vetro, aggiungete della scorzetta di limone e mescolate velocemente. Lasciate riposare fin quando il composto non si sarà intiepidito, quindi riponetelo in frigorifero per una notte. Tirate fuori dal frigorifero la ciotola contenente il riso e la crema di latte e lasciate intiepidire per circa tre ore. Sciogliete il lievito madre, o il lievito per dolci, in 150 gr di acqua tiepida in cui avrete precedentemente aggiunto lo zucchero, mescolate velocemente e aggiungete il liquido al composto nella ciotola. Aggiungete la scorzetta d'arancia, la cannella e la farina setacciata. Impastate con le mani umide e lasciate riposare per 1 ora e mezza. Riscaldate il succo delle arance e scioglietevi dentro il miele, mescolate e mettete da parte. Riscaldate l'olio, dovrà essere abbondante un pò come se fosse una piccola friggitrice, prendete parte del composto e mettetelo su un tagliere che avrete precedentemente cosparso di olio. Utilizzando la lama di un coltello, anch'essa cosparsa di olio, ricavate dei bastoncini di impasto, lunghi circa 8 cm. Una volta che avrete tagliato tutto il composto, fate rotolare i bastoncini in modo che finiscano nella padella piena d'olio, girateli spesso e tirateli fuori una volta che si saranno dorati. Riponete le crispelle su un foglio di carta assorbente e successivamente su un piatto, cospargete con il miele e il succo delle arance, spolverizzate con lo zucchero a velo e la cannella in polvere. Si mangiano caldissime e rigorosamente senza l'ausilio di posate....

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